Nel 2016 si è assistito ad alcuni importanti avvenimenti quali il Brexit, l’elezione di Trump alla presidenza americana e l’accoglienza controversa dell’arrivo dei profughi dall’Africa Subsahariana. Questi eventi sembrano voler segnare una rottura con il pensiero della globalizzazione che ha dominato a partire dagli anni’ Ottanta. Con il Brexit il popolo britannico ha deciso di non fare più parte dell’Unione Europea. L’Unione, nato come un accordo economico basato sul libero scambio tra i paesi membri, con il passare del tempo è diventato un unione politica, che regola quasi tutti i settori, dal clima all’immigrazione. Quindi l’idea alla base di questa organizzazione è il libero movimento delle merci, capitali e persone tra i paesi membri. La popolazione dei paesi europei duramente colpiti dalla crisi del 2008, grazie all’abolizione delle frontiere nell’unione, ha visto nell’immigrazione in paesi vicini una possibilità per uscire dalla recessione e trovare un posto di lavoro. La Gran Bretagna è una delle mete scelte da molte persone. L’immigrazione ha giocato un ruolo fondamentale nel referendum con il quale il popolo britannico ha scelto per il “leave” dall’UE. Lo stesso tema dell’immigrazione ha portato alla vincita di Trump contro Clinton. Le promesse di fermare l’immigrazione clandestina dal Messico, costruendo un muro al confine, limitare l’accesso ai musulmani e lo slogan di “make America great again” hanno indirizzato la scelta di molti americani chiamati al voto verso il candidato Repubblicano che democratico. L’ostilità verso i profughi provenienti dalla Siria, Libia, Eritrea dimostra come di fronte alla libertà di movimento dei capitali e delle merci, convintamente accettata da tutto l’Occidente, la libertà di movimento delle persone è sacrificata. Inoltre il Brexit ed i risultata dell’elezione americana dimostrano anche la voglia di interrompere con il pensiero unico neoliberista che ha caratterizzato l’economia e la politica fino ad oggi. I risultati previsti dalla liberalizzazione delle merci e capitali non si vedono. I benefici delle new economy, che dovevano essere per tutti, si sono concentrati solo nelle mani di poche persone, aumentando così il divario tra i ricchi e i poveri. Le istituzione create appositamente per guidare il mondo verso la crescita e lo sviluppo hanno largamente fallito nel loro compito. Non solo non sono riusciti a portare i paesi in via di sviluppo fuori dalla povertà ma ne hanno causato l’eccesivo indebitamento, adottando delle politiche di austerità che hanno fermato la crescita, aumentato la disoccupazione e eradicato la classe media, aumentando così la disparità nei paesi. La tesi, quindi, studia i danni creati dal fenomeno della globalizzazione come l'aumento del divario tra i poveri e i ricchi, la concentrazione del potere nelle élite e la frammentazione del potere statale. Inoltre, studia il ruolo del Fondo monetario Internazionale, della Banca mondiale e dell’Organizzazione mondiale per il commercio. Queste istituzioni create dopo la seconda guerra mondiale per portare durante la conferenza di Bretton Woods, non hanno raggiunto gli obiettivi assegnati. Queste organizzazioni rappresentano l’Occidente; le loro politiche sono macchiate dell’ideologia occidentale e soprattutto americana. L’applicazione forzata di queste politiche nei paesi asiatici e africani non poteva portare benefici in quanto non tenevano conto delle necessità locali. Dopo aver accertato che la globalizzazione è fallita. Si propongono le alternative alla globalizzazione che permettono ai paesi sottosviluppati di crescere in modo da ridurre il numero delle persone che vivono in povertà estrema. Si comincia a parlare della deglobalizzazione.

Le alternative alla globalizzazione

Kaur, Kuljit
2017/2018

Abstract

Nel 2016 si è assistito ad alcuni importanti avvenimenti quali il Brexit, l’elezione di Trump alla presidenza americana e l’accoglienza controversa dell’arrivo dei profughi dall’Africa Subsahariana. Questi eventi sembrano voler segnare una rottura con il pensiero della globalizzazione che ha dominato a partire dagli anni’ Ottanta. Con il Brexit il popolo britannico ha deciso di non fare più parte dell’Unione Europea. L’Unione, nato come un accordo economico basato sul libero scambio tra i paesi membri, con il passare del tempo è diventato un unione politica, che regola quasi tutti i settori, dal clima all’immigrazione. Quindi l’idea alla base di questa organizzazione è il libero movimento delle merci, capitali e persone tra i paesi membri. La popolazione dei paesi europei duramente colpiti dalla crisi del 2008, grazie all’abolizione delle frontiere nell’unione, ha visto nell’immigrazione in paesi vicini una possibilità per uscire dalla recessione e trovare un posto di lavoro. La Gran Bretagna è una delle mete scelte da molte persone. L’immigrazione ha giocato un ruolo fondamentale nel referendum con il quale il popolo britannico ha scelto per il “leave” dall’UE. Lo stesso tema dell’immigrazione ha portato alla vincita di Trump contro Clinton. Le promesse di fermare l’immigrazione clandestina dal Messico, costruendo un muro al confine, limitare l’accesso ai musulmani e lo slogan di “make America great again” hanno indirizzato la scelta di molti americani chiamati al voto verso il candidato Repubblicano che democratico. L’ostilità verso i profughi provenienti dalla Siria, Libia, Eritrea dimostra come di fronte alla libertà di movimento dei capitali e delle merci, convintamente accettata da tutto l’Occidente, la libertà di movimento delle persone è sacrificata. Inoltre il Brexit ed i risultata dell’elezione americana dimostrano anche la voglia di interrompere con il pensiero unico neoliberista che ha caratterizzato l’economia e la politica fino ad oggi. I risultati previsti dalla liberalizzazione delle merci e capitali non si vedono. I benefici delle new economy, che dovevano essere per tutti, si sono concentrati solo nelle mani di poche persone, aumentando così il divario tra i ricchi e i poveri. Le istituzione create appositamente per guidare il mondo verso la crescita e lo sviluppo hanno largamente fallito nel loro compito. Non solo non sono riusciti a portare i paesi in via di sviluppo fuori dalla povertà ma ne hanno causato l’eccesivo indebitamento, adottando delle politiche di austerità che hanno fermato la crescita, aumentato la disoccupazione e eradicato la classe media, aumentando così la disparità nei paesi. La tesi, quindi, studia i danni creati dal fenomeno della globalizzazione come l'aumento del divario tra i poveri e i ricchi, la concentrazione del potere nelle élite e la frammentazione del potere statale. Inoltre, studia il ruolo del Fondo monetario Internazionale, della Banca mondiale e dell’Organizzazione mondiale per il commercio. Queste istituzioni create dopo la seconda guerra mondiale per portare durante la conferenza di Bretton Woods, non hanno raggiunto gli obiettivi assegnati. Queste organizzazioni rappresentano l’Occidente; le loro politiche sono macchiate dell’ideologia occidentale e soprattutto americana. L’applicazione forzata di queste politiche nei paesi asiatici e africani non poteva portare benefici in quanto non tenevano conto delle necessità locali. Dopo aver accertato che la globalizzazione è fallita. Si propongono le alternative alla globalizzazione che permettono ai paesi sottosviluppati di crescere in modo da ridurre il numero delle persone che vivono in povertà estrema. Si comincia a parlare della deglobalizzazione.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14247/20542