La riflessione circa la dilatazione dello spazio, già a partire dai Futuristi e dai Dadaisti, assume un ruolo cruciale nel corso del Novecento, per poi diventare punto chiave delle ricerche artistiche a partire dagli anni Sessanta. In un contesto di democratizzazione dell’arte, gli artisti tendono a uscire dalle mura delle gallerie e dei musei per invadere lo spazio della realtà ed è proprio la rinnovata attenzione verso le forme del reale a imporre un nuovo contesto di ricerca, che fuoriesce dai limiti imposti dalle pareti espositive. Questo avvicinamento al reale, inoltre, porta gli artisti a indagare anche la materia umana e sociale, indagine che trova piena espressione nel lavoro di due figure molto differenti tra loro, oltre che molto distanti geograficamente parlando, ovvero Gabriele Basilico e Dan Graham. Se da una parte Basilico con le sue indagini fotografiche lavora sulle architetture della città, in modo particolare della sua città natale, Milano, Graham crea strutture architettoniche, installazioni che occupano un certo spazio. Basilico riflette sul cambiamento del paesaggio postindustriale e la sua opera diventa una guida per capire il percorso compiuto in particolare da Milano nel momento della sua trasformazione da città moderna a città postmoderna. Per questo volgere lo sguardo soprattutto alla periferia, con le sue fabbriche, che raccoglie e cataloga nel suo celebre Milano Ritratti di fabbriche. Nei suoi scatti, il paesaggio vuoto, deserto, si presenta sospeso, come se fosse in attesa di una nuova ondata di cambiamento. All’indagine della città di Basilico, caratterizzata dall’assenza dell’uomo, (cor)risponde il lavoro di Dan Graham. Nel 1966, sulla rivista “Arts Magazine”, pubblicò il suo celebre Homes for America, un’indagine sulle case modulari della periferia americana che lo impegnò per due anni. Graham sfruttò diversi media artistici, non solo la fotografia ma anche la televisione, il video, le architetture, la musica o gli specchi, al fine di esaminare l’uomo, i suoi comportamenti, il suo ruolo nella società. Tra i suoi lavori più significativi, ci sono i padiglioni completamente vetrati, che studiano in modo inedito la relazione tra spazio pubblico e spazio privato, proponendo un nuovo modo di vedere il mondo e la realtà, che spesso destabilizza lo spettatore. L’indagine sociale e spaziale di Graham e di Basilico ha trovato un particolare momento di confronto in occasione di Unidentified modern city. Globalized Brescia, mostra organizzata nel 2011 presso la galleria di Massimo Minini. Tra le mura della galleria bresciana, un fotografo italiano e un artista americano espongono scatti di una “città moderna non identificata”, grazie ai quali architetture senza una precisa identità acquistano senso attraverso gli occhi dei suoi abitanti.

Sguardi sulla “città moderna non identificata” tra arte, architettura e società. Brescia fotografata da Gabriele Basilico e Dan Graham

Peretti, Veronica
2021/2022

Abstract

La riflessione circa la dilatazione dello spazio, già a partire dai Futuristi e dai Dadaisti, assume un ruolo cruciale nel corso del Novecento, per poi diventare punto chiave delle ricerche artistiche a partire dagli anni Sessanta. In un contesto di democratizzazione dell’arte, gli artisti tendono a uscire dalle mura delle gallerie e dei musei per invadere lo spazio della realtà ed è proprio la rinnovata attenzione verso le forme del reale a imporre un nuovo contesto di ricerca, che fuoriesce dai limiti imposti dalle pareti espositive. Questo avvicinamento al reale, inoltre, porta gli artisti a indagare anche la materia umana e sociale, indagine che trova piena espressione nel lavoro di due figure molto differenti tra loro, oltre che molto distanti geograficamente parlando, ovvero Gabriele Basilico e Dan Graham. Se da una parte Basilico con le sue indagini fotografiche lavora sulle architetture della città, in modo particolare della sua città natale, Milano, Graham crea strutture architettoniche, installazioni che occupano un certo spazio. Basilico riflette sul cambiamento del paesaggio postindustriale e la sua opera diventa una guida per capire il percorso compiuto in particolare da Milano nel momento della sua trasformazione da città moderna a città postmoderna. Per questo volgere lo sguardo soprattutto alla periferia, con le sue fabbriche, che raccoglie e cataloga nel suo celebre Milano Ritratti di fabbriche. Nei suoi scatti, il paesaggio vuoto, deserto, si presenta sospeso, come se fosse in attesa di una nuova ondata di cambiamento. All’indagine della città di Basilico, caratterizzata dall’assenza dell’uomo, (cor)risponde il lavoro di Dan Graham. Nel 1966, sulla rivista “Arts Magazine”, pubblicò il suo celebre Homes for America, un’indagine sulle case modulari della periferia americana che lo impegnò per due anni. Graham sfruttò diversi media artistici, non solo la fotografia ma anche la televisione, il video, le architetture, la musica o gli specchi, al fine di esaminare l’uomo, i suoi comportamenti, il suo ruolo nella società. Tra i suoi lavori più significativi, ci sono i padiglioni completamente vetrati, che studiano in modo inedito la relazione tra spazio pubblico e spazio privato, proponendo un nuovo modo di vedere il mondo e la realtà, che spesso destabilizza lo spettatore. L’indagine sociale e spaziale di Graham e di Basilico ha trovato un particolare momento di confronto in occasione di Unidentified modern city. Globalized Brescia, mostra organizzata nel 2011 presso la galleria di Massimo Minini. Tra le mura della galleria bresciana, un fotografo italiano e un artista americano espongono scatti di una “città moderna non identificata”, grazie ai quali architetture senza una precisa identità acquistano senso attraverso gli occhi dei suoi abitanti.
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