La tesi indaga in particolare la pratica dell’aborto in Giappone, spiegandone la legalizzazione a partire dal secondo Dopoguerra. L’aborto è stata ed è tuttora una pratica molto redditizia per i ginecologi, che hanno cercato di mantenere i loro interessi economici insediandosi anche nella vita politica. Un gruppo religioso in particolare, Seichō no Ie, si era sempre espresso a sfavore della legalizzazione dell’aborto, entrando in politica appositamente per proporre revisioni alla Legge; queste revisioni non ebbero molto successo per molto tempo fino al 1996, anno in cui fu varata una nuova Legge, quella per la protezione della madre. Le ragioni che hanno spinto l’aborto come scelta principale per evitare una gravidanza indesiderata sono da attribuire allo scarso livello di educazione sessuale in Giappone e a un conseguente utilizzo non sempre corretto di contraccettivi. In Giappone, inoltre la pillola anticoncezionale a basso dosaggio è stata approvata da poco più di vent’anni, e tuttora è utilizzato da una bassa percentuale di donne, che devono ripiegare o sull’uso del preservativo, per cui è necessaria la collaborazione del partner, o sull’aborto. Essendo una pratica così frequente a partire dagli anni Settanta è nata una pratica religiosa, il mizukokuyō, per onorare e placare gli spirti dei feti abortiti. Questo rituale, in tempi più recenti, ha assunto un vero e proprio ruolo consolatorio per le donne giapponesi dopo un aborto. Si è inoltre notato come grazie a internet molte donne si esprimano sui propri sentimenti in merito all’aborto o semplicemente cerchino informazioni dalle esperienze di altre donne. Abortire può avere un impatto psicologico su alcune donne, che potrebbero quindi avere bisogno di supporto. Questo supporto, tuttavia, non viene fornito dal personale medico, che nella maggior parte dei casi si limita a fornire assistenza passiva incentrata esclusivamente sui bisogni fisici delle pazienti. Sarebbe quindi auspicabile che l’istruzione del personale medico venga aggiornato anche sulla cura psicologica delle pazienti che abortiscono per occuparsi anche della loro sfera interiore.

ABORTO IN GIAPPONE TRA POLITICHE CONTRACCETTIVE E SUPPORTO PSICOLOGICO ALLE DONNE

Solidoro, Sofia
2021/2022

Abstract

La tesi indaga in particolare la pratica dell’aborto in Giappone, spiegandone la legalizzazione a partire dal secondo Dopoguerra. L’aborto è stata ed è tuttora una pratica molto redditizia per i ginecologi, che hanno cercato di mantenere i loro interessi economici insediandosi anche nella vita politica. Un gruppo religioso in particolare, Seichō no Ie, si era sempre espresso a sfavore della legalizzazione dell’aborto, entrando in politica appositamente per proporre revisioni alla Legge; queste revisioni non ebbero molto successo per molto tempo fino al 1996, anno in cui fu varata una nuova Legge, quella per la protezione della madre. Le ragioni che hanno spinto l’aborto come scelta principale per evitare una gravidanza indesiderata sono da attribuire allo scarso livello di educazione sessuale in Giappone e a un conseguente utilizzo non sempre corretto di contraccettivi. In Giappone, inoltre la pillola anticoncezionale a basso dosaggio è stata approvata da poco più di vent’anni, e tuttora è utilizzato da una bassa percentuale di donne, che devono ripiegare o sull’uso del preservativo, per cui è necessaria la collaborazione del partner, o sull’aborto. Essendo una pratica così frequente a partire dagli anni Settanta è nata una pratica religiosa, il mizukokuyō, per onorare e placare gli spirti dei feti abortiti. Questo rituale, in tempi più recenti, ha assunto un vero e proprio ruolo consolatorio per le donne giapponesi dopo un aborto. Si è inoltre notato come grazie a internet molte donne si esprimano sui propri sentimenti in merito all’aborto o semplicemente cerchino informazioni dalle esperienze di altre donne. Abortire può avere un impatto psicologico su alcune donne, che potrebbero quindi avere bisogno di supporto. Questo supporto, tuttavia, non viene fornito dal personale medico, che nella maggior parte dei casi si limita a fornire assistenza passiva incentrata esclusivamente sui bisogni fisici delle pazienti. Sarebbe quindi auspicabile che l’istruzione del personale medico venga aggiornato anche sulla cura psicologica delle pazienti che abortiscono per occuparsi anche della loro sfera interiore.
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